Dopo le dichiarazioni del presidente americano Donald Trump, che con lo spostamento dei suoi contingenti dalle zone della Siria in cui sono presenti le milizie curde, non ha fatto altro che dare il via all’azione armata della Turchia, sono iniziati da alcuni giorni i bombardamenti e gli attacchi alle postazioni e alle città in cui sono insediati i curdi siriani, considerati da Ankara “terroristi”. Diverse le ragioni che hanno portato a questa situazione: da un lato il disinteresse americano per le sorti dei curdi, che sono stati ripagati con questa amara moneta per aver difeso l’occidente dal pericolo Daesh, dall’altro lato vi sono ragioni interne alla Turchia.
Erdoğan combatte i curdi per riconquistare i turchi, che alle ultime tornate elettorali si sono allontanati dalla sua visione politica. Tutto ciò però non è altro che la cornice di una situazione che si chiama Guerra. Una sporca guerra. “Il Sultano”, intende istituire una zona di sicurezza di 30 chilometri oltre il confine per una larghezza di 480 a danno delle popolazioni curde lì residenti. L’obiettivo turco è quello di evitare i contatti e la collaborazione con i cugini del Pkk curdo, che in realtà già oggi sono labili. Alcuni ambienti della società civile hanno espresso pubblicamente il proprio sostegno alla causa turca, in prima fila le autorità religiose armene, che un po’ ce l’hanno ancora con i curdi per i massacri della prima guerra mondiale. Anche in questo caso la storia non è servita a renderci almeno un po’ più umani.
Questa è una guerra che vede la strumentalizzazione mediatica di una serie di categorie: le donne in primis. Le donne curde che combattono e che lo fanno per due motivi: la propria libertà personale. Perché vivono in una società, quella curda, fortemente maschilista e patriarcale, in cui un uomo vale due donne, secondo i proverbi tradizionali. Combattono per la propria idea di libertà, per il diritto all’autodeterminazione. Ma anche qui spesso si incorre in un errore: non è detto che i curdi siriani, iracheni, turchi, iraniani, intendano formare una solo entità statale.
Non è affatto così perché le diverse comunità vivono realtà diverse e non hanno nessun interesse ad interagire con i propri lontani parenti. Non esiste una società curda unica. In Turchia ad esempio vivono milioni di curdi, che non si riconoscono né nel Pkk, né nell’Ypg, che vivono più o meno serenamente assimilati ai turchi e che spesso nelle contese elettorali hanno votato l’Akp, questi curdi non intendono alzare la voce per i loro fratelli. Poi ci si domanda, ripensando alla necessità turca di piegare i suoi curdi: ma non sono cittadini come tutti gli altri, e quindi non avrebbero diritto nella loro specificità a volere il riconoscimento di una propria identità? Sulla carta si, in pratica no. Perché spesso e volentieri in questo mondo, l’avere un diritto non significa poterlo esercitare.
Quindi in pratica è carta straccia. Un’altra voce assente, in tutta questa triste faccenda è quella dell’Europa, che dimostra ancora una volta di aver grossi problemi di identità, di unione e di lungimiranza politica. Alcuni singoli stati stanno proponendo azioni di sabotaggio di prodotti turchi o hanno sospeso la vendita di armi alla Turchia, tutte misure quasi inutili. I turchi gli abbiamo già armati. E poi se ben guardiamo le azioni di oggi, sono guidate da meri interessi nazionali: non vorremmo mica ritrovarci l’Isis davanti alla porta di casa, vero? Sulle dichiarazioni dei leader italiani preferisco sorvolare, anche perché è praticamente impossibile fare un’analisi di affermazioni vuote e senza riscontro reale, e che dimostra sempre più la nostra debolezza a livello internazionale.
Un altro attore quasi non protagonista è la Russia, che difende la
Siria, o meglio i suoi interessi e la sua sfera di influenza in Siria.
Putin ha chiesto che tutti i militari stranieri lascino il territorio
siriano, quindi anche i russi andranno via, credo. Peccato che anche
Putin abbia armato la mano dei turchi con la recente vendita di armi,
che così tanto aveva fatto infuriare Trump, tanto da minacciare una
cacciata senza onore della Turchia dalla Nato.
Signori questa situazione è complessa, difficile e dolorosa, gli
interessi nazionali avranno sempre la meglio su una popolazione senza
patria. Solo una preghiera: non chiamatela Operazione Sorgente di Pace.
Questa sorgente è prosciugata da tempo in questa terra martoriata, e non
siete voi che ne state pagando il prezzo più alto.
Questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto Sardo nella rubrica Turchia e dintorni.